Dell’arte contemporanea, delle nostre frustrazioni, o anche: non è vero che 'potevo farlo anche io'

Quante volte abbiamo sentito questa frase, nei musei di arte contemporanea…

Una frase disponibile anche in altre versioni:

Ma che ci vuole?

Ma che cavolata!

O ancora, citando i grandi Aldo, Giovanni e Giacomo:

Il mio falegname con 30.000 lire la faceva meglio.

Quasi tutti proviamo di fronte a talune opere un senso di inadeguatezza, qualcosa che ci fa riflettere e credere di non essere in grado di comprendere ciò che stiamo contemplando. Questo è un errore grossolano.

Per comprendere l’arte concettuale (ma poi chi ha detto che l’arte vada compresa… goderne non è sufficiente?) non occorre essere intenditori: basta essere in possesso di una mente aperta, di una buona dose di curiosità e del coraggio necessario a valicare quelli che noi stessi consideriamo essere i confini intellettuali oltre i quali non possiamo (leggi: vogliamo) spingerci.

Immaginiamoci di fronte a un quadro, la forma artistica per antonomasia, e domandiamoci: è sufficiente conoscere la tecnica per essere considerato un artista? Quanto c’è di tecnica e quanto di pensiero rispettivamente in Prassitele, in Giotto, un Cezanne, in Burri?

Nell’ambito fotografico, che ben conosco, molti fotografi cercano – attraverso strumenti tecnici quali il mosso creativo, lo sfocato o l’uso di colori artefatti – di conferire dignità artistica ai propri lavori, rendendoli simili a quadri.

Agli albori della fotografia, ai tempi dei dagherrotipi, un dipinto tecnicamente perfetto era paragonato a una foto. Oggi, tutti possiamo scattare delle fotografie, tutti possiamo compiere esercizi di stile: non sono richieste particolari competenze tecniche. Ma non tutti possiamo dipingere la Gioconda o plasmare il marmo come Canova.

Ergo si passa dall’enorme importanza rivestita dal “come” alla prevalenza del “che cosa“: che cosa racconto, che cosa esprimo, che cosa voglio trasmettere e con quali mezzi voglio farlo.

E il “come” arriva a sembrarci banale, facilitato dalla tecnica e dunque, in quanto in seriale, all’apparenza meno prezioso. La fantasia rimugina, e magari ci chiediamo (con una punta di invidia!) come possano tanti artisti contemporanei campare più che dignitosamente facendo tali ca***ate.

Ci stupiamo delle tele tagliate di Fontana e alla Merda d’Artista di Manzoni.

Perché?

Perché, tornando all’esempio di prima, di fronte a una scultura di Canova o a un quadro di Leonardo (che sono capolavori di tecnica e di intelletto) non ci porremmo il quesito: saremmo in grado anche noi?

No, non saremmo mai stati in grado. Invece, avremmo potuto tagliare una tela.

Ma i Tagli di Fontana non sono semplici tagli. Sono curati, maniacali: l’artista ha applicato una garza dietro per evitare che si sfrangiassero; e, soprattutto, sono il frutto di un’idea.

Un’idea che riverbera già nel titolo: “Concetto spaziale, Attesa“.

Chi ci aveva pensato prima? Nessuno, per quanto tutti avremmo potuto materialmente tagliare una tela. Fontana è stato il primo a farlo.

La genialità consiste nella scelta di distruggere, di tagliare il proprio lavoro per farlo diventare arte. Ribadisco il concetto: chi ci aveva pensato, prima di lui? Sottolineo nuovamente la risposta: nessuno.

Fontana e i contemporanei sono artisti tanto quanto Leonardo, Michelangelo ed il resto del Pantheon artistico? No.

Tuttavia, se ci fossero solo Federer e Nadal nel tennis, non avremmo termini di paragone per giudicare Seppi o Gasquet. Fontana e altri artisti contemporanei incrementano il prestigio di Leonardo, ma soprattutto sono a loro volta ragione e materia del nostro godimento intellettuale e sensoriale.

Ricordandoci sempre un fatto: avremmo forse avuto la possibilità di “farlo anche noi”, ma non l’abbiamo fatto.

 

 

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